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Sicut cervus

Durante il tempo di Quaresima il Signore ci indica, come nell' Esodo, il cammino verso la libertà. Ma non saremo veramente liberi per unirci al grido vittorioso dell' Exultet se prima non volgiamo lo sguardo in alto per contemplare la Bellezza.

Essa ha un fascino istintivo, seduce i sensi, e richiama al Trascendente, cioè il traguardo ultimo, ideale e irraggiungibile, di ogni forma d' arte. E' tramite la Bellezza che Dio ci immerge in una realtà soprannaturale che non è cerebrale ma è vivificata e incarnata dall' Amore che quotidianamente ci dona. Spesso, accecati dalle inquietudini del presente, non vogliamo lasciarci attrarre da Lei e ci volgiamo altrove; però anche nelle tenebre delle nostre miserie essa trova il modo di esprimersi attraverso inattesi squarci di armonia e di luce.

In questa radiosa prospettiva, cari amici del web, ho il piacere di condividere con voi le emozioni di un ascolto che dura meno di tre minuti ed è alla portata di un click (sull' immagine in testa all' articolo).

Si tratta del celebre mottetto composto da Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594), "princeps musicae", sulla similitudine che apre il Salmo 42:

"Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum,

ita desiderat anima mea ad Te, Deus."

Desidero ricordare che Palestrina ha composto più di un centinaio di mottetti e ne è il padre indiscusso. Il mottetto è una forma corale contrappuntistica caratterizzata dall' ispirazione sacra: in questo caso vengono messi in musica due versi della Vulgata. Esiste un responsorio che riprende le parole di questo salmo ed è presente nel repertorio gregoriano, in una forma più estesa, per un duplice impiego liturgico: accompagnava la processione dei catecumeni verso il fonte battesimale durante la veglia di Pasqua e veniva cantato durante il rito delle esequie.

La composizione di Palestrina si presenta oggi con la freschezza di un frammento, di uno schizzo impressionistico, superando gli schemi storici e culturali della Controriforma e imponendosi come un capolavoro assoluto di genialità artistica e di spiritualità.

Dopo questa breve e necessaria didascalìa, lasciamoci ora guidare dalla partitura attraverso i due termini della similitudine.

Primo termine: la fisicità della vita.

L' inizio della composizione propone un tema melodico a ritmo cadenzato con le varie voci che entrano in forma di imitazione, introducendo una scena dal sapore agreste nella quale primeggia la figura del cervo con la sua corsa elegante ed armoniosa. L' animale è descritto nell' evidenza plastica del movimento, con una movenza scultorea che richiama la classicità. Diversamente dall' arte figurativa che coglie l' attimo catturando un' istantanea della scena, la musica si avvale del tempo per aggiungere una profondità dimensionale e dinamica alla rappresentazione. Siamo davanti alla bellezza della vita, interpretata nella sua animalità, scandita dal respiro, dal movimento delle membra, dalla necessità di doversi nutrire (attingere l' acqua) per provvedere alla sopravvivenza. E' la fisicità espressa istintivamente, senza alcuno sforzo di volontà, inserita come un elemento nell' ordine naturale. E' una metafora della vita terrena, della corporeità della nascita e della morte, degli affetti e dei sentimenti, della bellezza armoniosa della natura; esprime il compiacimento per il mondo e l' ammirazione per il creato.

Il "desiderat" è cantato in rapida scala ascendente: è un impulso alla lotta per vivere, è una molla scatenata dall' istinto.

La corsa del cervo è l' espressione sintetica della vita e dell' essere creatura.

La mèta della corsa è l' acqua e non a caso la melodia stempera il suo incedere vocalizzando sulla parola "aquarum".

Nella tessitura del contrappunto "aquarum" si ripropone alternativamente in una delle quattro voci e sempre contrasta il ritmo scandito del "Sicut cervus desiderat ad fontes" esposto dalle altre voci: in questa dialettica il movimento si rinnova ciclicamente perchè sempre una voce rilancia la corsa mentre un' altra perviene alla mèta agognata. In questa coralità la scena si moltiplica e si ripete, assume ancor più rilievo e accresce lo spazio e il tempo, proiettandosi in una dimensione universale.

Secondo termine: l' amore in Dio.

Le note lunghe dell' "ita" nobilitano l' avverbio esprimendone l' intenso significato di uno stacco di scena e di un' apertura su un nuovo orizzonte di interiorità.

L' "ita", melodicamente discendente, sintetizza una volontà di introspezione, di ripiegamento agostiniano nella propria spiritualità per esplorarsi dentro; è la prima fase della ricerca di Dio.

Il "desiderat" esprime ora uno slancio di elevazione nella ricerca: la melodia è ascendente.

Il culmine di questo atteggiamento interiore è raggiunto dall' ultima riproposizione del "desiderat anima mea" nella parte alta, con un vocalizzo molto struggente sulla "a" di "desiderat" : l' elevazione spirituale nobilita in innamoramento il desiderio nato da un atto di libertà e di volontà.

Il canto si fa preghiera, invocazione e si tinge di una vena malinconica (timore di non poter raggiungere l' Amato o sofferenza per un possibile distacco?).

Le parole "anima mea" sono cantate su una melodia discendente, in dialettica con le parole "ad Te" ascendenti: è il momento in cui l' anima si presenta umilmente al cospetto dell' Amore.

La tensione dell' innamoramento e il desiderio per l' Amato stanno per trovare appagamento nella visione, nella vicinanza e nel contatto: l' anima si abbandona rapita dall' estasi ma senza smarrimento, anzi con fiducia pregusta il godimento di un eterno presente.

A questo punto le voci si ricompongono velocemente nella cadenza finale sulla parola "Deus" a suggello della composizione che si spenge per introdurre alla meditazione nel silenzio, necessaria per completare e interiorizzare l' ascolto.