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Sete di infinito

Sete di infinito La domanda che ci poniamo è questa: se questo orizzonte alla luce del quale noi tutto conosciamo, noi tutto sperimentiamo, questo orizzonte sconfinato - nel quale noi siamo immersi e che è la misura sulla quale tutto misuriamo per poter appunto dichiarare che la realtà finita è finita - se questo orizzonte è solo un pensato, una proiezione dei nostri desideri o è qualche cosa di reale. La risposta molto breve, non so se è naturalmente sufficiente per persuadere della sua fondatezza, è che questo orizzonte dal quale noi attingiamo questa idealità infinita, questa spinta verso traguardi che si spostano sempre più in là man mano che noi ci avviciniamo, questa spinta siamo noi concretamente.

Questo orizzonte che nutre e sostiene in noi questa tensione, che noi siamo, perché noi siamo questa sete di infinito, questa inquietudine che non trova pace in nessuna realtà finita, se questo orizzonte, dal quale si sprigiona questo dinamismo, che è l’essenza della nostra vita, quella che modifica veramente la nostra vita umana, se questo orizzonte è nulla, allora quello che attira la nostra vita, quello che la sostiene, la muove, la fonte che ne determina tutta quanta la tensione, è nulla. La nostra vita non è nulla: il nulla non fa nulla, il niente è niente. Noi spesso parliamo del niente come se fosse qualche cosa; ma niente è niente. Ora se tutto il dinamismo della nostra vita, se tutto lo slancio che noi siamo è sospeso al nulla, allora noi siamo nulla; ma se non mi sembra che noi siamo nulla, allora è da supporre che questo orizzonte non sia solo da noi pensato, ma sia veramente reale, che questo orizzonte rinvii veramente a qualche cosa di reale, segnali una realtà che non può non essere immensa, dell’immensità dell’orizzonte che veramente incorpora, porta in sé in potenza l’infinitezza dell’orizzonte. E’ molto difficile esprimersi, pensare queste cose. Non è un argomentare astratto, avulso dall’esperienza. Noi siamo veramente così impastati di questa tensione verso l’infinito che per noi le realtà, i valori fondamentali di per sé non comportano limite; nel modo con cui noi li intravediamo, li sogniamo perché certo noi li riscontriamo sempre finiti nella realtà, li pensiamo, per noi questi valori supremi non hanno limite; per esempio la vita, in un certo senso il valore che ingloba tutti i valori, noi la incontriamo sempre come una vita che è già tutta intrisa del suo contrario, la morte, perché la nostra vita concreta, come la vediamo intorno a noi, non è vita pura, limpida, cristallina, è purtroppo sempre venata, intrisa della negatività della morte.

S. Agostino dice giustamente che la nostra vita è in realtà una morte prolissa, si comincia a morire nel momento in cui si comincia a vivere e poi la vita è piena di segnali di morte: le nostre frustrazioni, i nostri condizionamenti, i nostri fallimenti, piccoli e grandi, i mali che incontriamo sono sintomi, annunci di morte. Di fronte a questa vita che cosa diciamo noi talvolta quando non ne possiamo più: questa non è vita! Cosa vuoi dire questo? Questo vuol dire che si ha nel cuore - e di riflesso nella testa, nell’esperienza vissuta, permeata da questa idealità, di infinito - un’idea di vita senza condizionamenti, limiti, negatività; la vita per noi idealmente dovrebbe essere vita e soltanto vita, in un crescendo trionfale, in uno sviluppo che non conosce battute di arresto, regressioni, declino, alla fine inarrestabile.

La vita che sperimentiamo è purtroppo tutta combattuta dal contrario della vita; ma noi avvertiamo, secondo un istinto non bruto, ma posto in noi dall’ apertura ad un orizzonte infinito che ci attrae, che la vita dovrebbe essere vita in pienezza. Che cos’è questa vita al quaranta per cento, e alla fine allo zero per cento? Che vita è? Condannati a una vita così limitata noi ci rassegniamo, portiamo però dentro questa consapevolezza che la vita di per sé dovrebbe essere ben diversa. E’ lo stesso per qualsiasi altro valore.

L’amore per esempio. Vita e amore si richiamano in maniera molto potente: la vita è per l’amore; la vera vita consiste nell’amore, e l’amore è il fenomeno vitale più alto, dovrebbe essere soltanto amore, e invece noi non lo incontriamo mai in questa purezza, radicalità e totalità; anche la persona più buona, più cara a un certo punto ti delude, ti lascia veramente con l’amaro in bocca o nel cuore; siamo rassegnati a questo ma, eppure sentiamo che l’amore è qualche cosa di per sé di infinito, che non comporta in se stesso dei limiti e se abbiamo un sogno nel cuore è quello di un amore che sia solo amore, splendore veramente incontenibile di amore.

Ma da dove nasce in noi questa dimensione di infinito che contrassegna tutti i valori come l’aspetto più tipico (vita, amore, bellezza....), il fatto che a tutto quello che noi sperimentiamo condizionato fortemente segnato dalla negatività, noi attribuiamo secondo questo nostro slancio ideale, una dimensione di infinito per cui l’amore, la vita, la bellezza finita non ci lasciano soddisfatti.

Siamo fatti così; a tal punto che l’uomo anche quando vuole rifiutare l’assoluto reale segnalato da questo orizzonte infinito, in realtà assolutizza qualche cos’altro che non è l’assoluto, perché è tutto percorso da questo desiderio di infinito e di assoluto. L’assoluto per l’uomo sarà la razza, il sesso, il successo, il denaro, il potere, la sicurezza nazionale. Noi perseguiamo tutto sempre secondo questa carica di assoluto. Tendenzialmente noi cerchiamo di cogliere, di inquadrare tutto secondo coordinate di assoluto. Allora, se veramente l’uomo è questa tensione viva verso l’assoluto, volete che l’assoluto sia proprio un niente? Non può essere niente. Questa può sembrare una spiegazione rudimentale, ma ha il pregio di rifarsi all’esperienza.

 

Cristo pantocrateO Dio, ci hai fatti per te

(su tua misura, secondo le tue dimensioni, in modo che solo in te possiamo avere il nostro destino, perché tu sei il modello sul quale noi siamo stati impostati, la tua infinitezza, la tua immensità, questa tua pienezza sconfinata, in tensione verso quel modello che è il tuo essere infinito, tu ci hai fatti)

e inquieto è il nostro cuore, finché in te non riposa.  (S. Agostino, Confessioni)

Cerca di trovare appagamento quaggiù, ma in quell’attimo felice in cui pare di essere completamente realizzati - attimo che Faust (Goethe) voleva fermare per sempre, eternizzare - questo attimo ci sfugge e ci riconduce alla nostra finitezza, ci fa ripiombare nella nostra piccolezza dalla quale costantemente tendiamo verso un qualche cosa, un qualcuno, che veramente accogliendoci in sé, possa placare questa nostra sete.